Il mare, il buon bere, il mangiare bene e...chi più ne ha, più ne metta

31 maggio 2016

Casale del Giglio, le vigne e il mare


Di recente ho visitato, nell'ambito di un interessante blog-tour, i diversi vigneti dell'azienda agricola Casale del Giglio della famiglia Santarelli, che ha oltre cento anni di attività alle spalle. La sua storia merita di essere raccontata e parla di commercio, dedizione, tradizione, ricerca e sperimentazione.
I Santarelli, originari di Amatrice, erano mercanti di vino e ben presto aprirono a Roma il loro primo “Vini & Olii” in Piazza Capranica, seguito da altri analoghi punti vendita in diverse zone della città. Nel 1967, Dino Santarelli, figlio di uno dei fondatori dell’azienda di famiglia, affascinato dall’Agro Pontino, crea “Casale del Giglio” in località Le Ferriere non lontano dall’antica Città di “Satricum” in provincia di Latina, circa 50 Km a sud di Roma.


Questo territorio rappresentava, rispetto ad altre zone del Lazio e ad altre regioni d’Italia, un ambiente nuovo, tutto da esplorare dal punto di vista vitivinicolo. Per questa ragione, nel 1985 si diede vita al progetto di ricerca e sviluppo “Casale del Giglio”, autorizzato dall’Assessorato all’Agricoltura della Regione Lazio.
A partire dagli anni ’90 il figlio di Dino, Antonio, seguendo l’intuito paterno e avvalendosi della collaborazione del giovane enologo trentino Paolo Tiefenthaler (proveniente dal rinomato Centro Ricerca ed Innovazione dell’Istituto Agrario San Michele all’Adige), svilupperà ulteriori progetti di ricerca e sperimentazione, che hanno condotto ai ragguardevoli risultati raggiunti fino ad oggi.
I modelli di coltivazione viticola ai quali si sono ispirate queste ricerche sono quelli praticati a Bordeaux, in Australia ed in California, che sono territori esposti all’influenza della costa, esattamente come l’Agro Pontino, che gode dei benefici effetti del mar Tirreno. Oggi i vini di “Casale del Giglio” hanno conquistato, innanzitutto il mercato romano e laziale, per poi estendere la loro presenza a livello nazionale ed internazionale.


Ciò premesso, la mia visita ai vigneti di Le Ferriere è stata davvero interessante con una calorosa accoglienza da parte di Antonio Santarelli e Linda Siddera, responsabile della comunicazione dell'azienda. Abbiamo potuto ammirare le vigne, gli impianti di trasformazione delle uve e la cantina, oltre che godere della vista dell'incantevole laghetto, presente sempre all’interno della tenuta.



Molto stimolante, poi, la degustazione dei tanti vini dell'azienda, alcuni dei quali oggetto di sperimentazione, dall’alto della splendida terrazza che sovrasta il Casale e davanti ad un tramonto mozzafiato.
Più nel dettaglio, ho gradito in modo particolare un rosso, il Tempranillo, che nasce da un vitigno di origine spagnola coltivato anche nella zona della Rioja. Questa varietà si è adattata molto bene al clima mediterraneo ventilato ed ai terreni freschi e profondi, come quelli di Casale del Giglio. E’ un vino dal colore rosso scuro con sentori di lampone, ribes nero e marasca matura, di gusto molto concentrato con note speziate e fruttate, esaltate da una consistente presenza di tannini dolci. E secondo gli esperti si adatta perfettamente con la “tiella di polpo” di Gaeta, un abbinamento che senz’altro mi propongo di testare.


Del resto uno dei tanti propositi di questa azienda è di abbinare nel modo più appropriato i loro vini ai piatti tipici della cucina laziale per valorizzare entrambi. Ne abbiamo avuto conferma nell’ambito dell’ottima cena tenutasi presso il bellissimo casale della famiglia Santarelli. Qui piatti come la gricia, l’amatriciana, il pollo arrosto con patate sono stati perfettamente abbinati ad alcuni vini aziendali, rispettivamente l’Antinoo bianco, l’Albiola Rosato e il Petit Verdot.


Lo splendore di Ponza

L’indomani abbiamo continuato il nostro fil-rouge con Casal del Giglio approdando nella stupenda isola di Ponza, dove questa azienda possiede dei vigneti di uve Biancolella (che conoscevo già nella loro "versione" ischitana) e sta sviluppando un progetto per la sua valorizzazione.
La Biancolella è infatti una varietà originaria della Campania importata a Ponza da Ischia nella metà del ‘700, ai tempi del regno dei Borbone. Tra l'altro la sua coltivazione nel Lazio è autorizzata unicamente sulle isole ponziane. A Ponza la Biancolella nasce su di un piccolo altopiano, al di sopra del quale si erge, maestoso, il Faro della Guardia, costruito nel 1886 su una rocca a strapiombo sul mare (alta 112 m. s.l.m.) e che ha una portata luminosa fino a 24 miglia marine.


La nostra passeggiata per arrivare alle vigne e alla cantina di Casal del Giglio è stata molto suggestiva. Partendo dal porto di Ponza, ci siamo inerpicati su delle graziose e strette stradine, ammirando lo splendido panorama via via sempre più mozzafiato, rimanendo abbagliati dagli accecanti riflessi del sole sulle casette bianche e azzurrine che ricordano i paesini marinari della Grecia e scattando simpatiche e divertenti foto e modaioli “selfie”.



Giunti all’altopiano, abbiamo potuto ammirare le vigne a strapiombo sul mare, tra profumi di macchia mediterranea ed erbe aromatiche, e apprendere da chi ci ha accompagnato ulteriori notizie tecniche sulla coltivazione del Biancolella. Come ad esempio il fatto che l’altezza delle piante viene tenuta volutamente bassa per ridurne l’esposizione al vento, che le danneggerebbe.


La coltivazione di queste uve avviene su tanti minuscoli appezzamenti, alcuni recuperati, altri acquistati ed è quindi necessariamente limitata. La produzione di vino è conseguentemente di circa 4.000 bottiglie, commercializzate solo a Ponza e fuori dall'isola soltanto ad Anzio.


La successiva visita alla graziosa cantina ci ha consentito di apprezzare il vino Biancolella anche dal punto di vista organolettico. Un vino dal colore giallo con riflessi leggermente verdolini, dal profumo molto intenso che ricorda la frutta gialla e dal gusto minerale e di grande sapidità, espressione del territorio “vulcanico-calcareo” in cui nasce.



L’abbinamento classico di questo vino è con le “Linguine c'o Fellone” (cioè con la granseola), piatto tipico di Ponza.


E proprio questo perfetto connubio abbiamo avuto modo di apprezzare nell’ottimo ristorante A casa di Assunta (Tel. 0771 820086) insieme all'assaggio di tanti altri gustosi piatti, a cominciare dagli antipasti mediterranei e di mare, fino alla fresca frittura, ai gamberoni (da mangiare rigorosamente con le mani) e ai dolci fatti in casa. Tra questi ultimi, devo segnalare il cheese cake con una indimenticabile marmellata di mandarini home-made.
Il nostro soggiorno a Ponza ci ha permesso di apprezzare pienamente le bellezze di quest’isola meravigliosa. A cominciare dai pittoreschi negozietti e localini che si affacciano sul porto, dove poter fare colazione, prendere un aperitivo o cenare.



Per una buona colazione o un aperitivo consiglio il bar-pasticceria Gildo (tel. 0771.80647), dove potrete trovare tante golosità dolci, tra cui a mio avviso degli ottimi babà.


Naturalmente Ponza va vista anche e soprattutto dal mare. Cosa che si può fare effettuando un imperdibile giro dell’isola in barca, tra grotte, calette, rocce a picco anche dalle forme bizzarre, faraglioni, archi naturali e un mare con tutte le tonalità dell’azzurro e del turchese.



E in questo meraviglioso contesto anche delle semplici penne al pomodoro con tonno e olive, mangiate sulla barca (insieme ad un fresco Biancolella di Casal del Giglio!), diventano il piatto più buono del mondo…

Ps un doveroso ringraziamento per l’ottima organizzazione di questo blog-tour deve andare a Giulia Murdocca di MG Logos, a Linda Siddera e Antonio Santarelli di Casal del Giglio, oltre che all'agenzia Ponziana Viaggi.

24 maggio 2016

Un gradito....attracco al Molo 10


La buona cucina marinara non è cosa da tutti. Soltanto i bravi chef sanno trattare la materia prima pesce con la dovuta cura, senza troppo "maltrattarla" e mantenendola il più possibile vera, autentica, senza troppe elaborazioni e aggiunte. Il pesce, quando è fresco, è infatti già buono di suo e non necessita che di poche e semplici trasformazioni che consentono di preservare il suo grande sapore che viene dal mare. Apprezzo quindi sempre molto i locali che propongono una cucina che segue questa filosofia.
Ebbene, ho da poco scoperto con grande piacere un ristorante di pesce che si trova nella zona di Ponte Milvio a Roma che sposa questo approccio e che quindi mi è piaciuto subito.
Il suo nome è Molo 10 e si può definire più precisamente un’osteria di pesce, in quanto il locale non ha l'aria dei raffinati e chic ristoranti di mare che si trovano a volte nella capitale, ma piuttosto somiglia quasi ad una taverna di pescatori di qualche borgo marinaro.


Reti da pesca alle pareti, quadri che evocano l'ambiente marino o che raffigurano pesci surrealisti e umanizzati, personale vestito "alla marinara" con le classiche righe orizzontali bianche e blu...


Una volta entrati da Molo 10 si ha la sensazione di trovarsi quasi in un luogo di mare e per un attimo ci si dimentica di essere nella caotica capitale, anche perché il locale si trova in una via poco affollata che permette di godere di un’atmosfera rilassante e curata, molto apprezzata dai clienti.
La cucina ruota evidentemente intorno al pesce, sempre fresco e di qualità, che viene elaborato con elegante semplicità da Vincenzo Ciano, chef di origini calabresi che si è stabilito a Roma dopo aver viaggiato fra Europa, America e Oriente.
Punti cardine di questa osteria di pesce sono il rispetto del prodotto e la volontà di valorizzare la materia prima. Ciò implica anche una minuziosa attenzione alla provenienza del pesce, che per lo più arriva dalla zona di Anzio, dal basso Lazio o da pescherie di fiducia a cui si rivolge Roberto, oste sempre presente, nonché direttore e volto di riferimento per la clientela.


La cucina dello chef Vincenzo Ciano rispetta la tradizione con qualità e semplicità e si concretizza in piatti puliti e lineari, che fanno emergere nettamente i sapori delle singole materie prime, con qualche sconfinamento nella cucina fusion che non guasta per nulla. In ogni piatto dello chef si ritrovano infatti i sapori della tradizione esaltati da ciò che le diverse culture dei vari luoghi del mondo visitati gli hanno lasciato.
Per cominciare un pasto da Molo 10 sono da non perdere i ricchi antipasti misti di crudi, cotti e caldi che arrivano fino ad un massimo di dieci portate. Tra questi, tutti sfiziosissimi, è da menzionare il polpo verace alla griglia con patate arrosto o l'ottimo sgombro con vignarola o ancora il tonno scottato con chips di topinambur.


Buono anche il fritto misto, che comprende anche delle squisite palline di fiori di zucca, acciughe e provola.


Tra i primi sono assolutamente da provare gli spaghetti alle telline e lime (veramente al top!) o le linguine gamberi rossi e mollica tostata. Interessanti anche i tonnarelli con scampi, fiori di zucca e pecorino di fossa.


Anche i secondi contemplano proposte molto stuzzicanti, come la cernia alla griglia con salmoriglio, la catalana di crostacei o i filetti di rombo speziato con spaghetti di soia e verdure.


Si chiude in bellezza con ottimi dolci tra cui un millefoglie con crema chantilly e fragoline di bosco, un cheese cake con biscotto croccante ai lamponi e dei profiterol con crema al rum.


Molto interessante anche la carta dei vini, con buone bollicine e Champagne e una selezione di etichette di molte regioni italiane soprattutto, ovviamente, relative ai bianchi. Segnalo in particolare l'ottimo Gewurtztraminer Alto Adige Doc Elena Walch e i vini bianchi a me cari come il Biancolella d'Ischia e quelli di Marisa Cuomo Furore Bianco e Fior d'Uva.


Insomma vi consiglio di fare una visita presso questo buon locale, ideale per tutti coloro che cercano una cucina di pesce di qualità a prezzi giusti senza allontanarsi da Roma.

19 maggio 2016

Auguri… Doppi di buon compleanno!


Circa una settimana fa ho partecipato ai festeggiamenti del primo compleanno di un locale che non conoscevo e presso cui sono stato molto bene, che si chiama "Il Doppio, Mangiare e Bere".
Il locale nasce nel maggio del 2015 (dopo la trasformazione da quello precedente, denominato "Taverna Romana") nel quartiere Prati di Roma dall’idea di due sorelle, Marta e Romana Cipriani. Queste ultime, seppur giovanissime, hanno già alle spalle una notevole esperienza ristorativa di famiglia e una serie di tirocini presso qualificati locali.


Dietro al nome “Il Doppio vi è da un lato la duplicità di una cucina che vuol essere al tempo stesso tradizionale e contemporanea, ma anche il binomio rappresentato da due sorelle molto diverse tra loro ma con un'unica passione, quella della convivialità e del cibo.
La serata di festeggiamento mi ha consentito di assaggiare numerosi piatti sapientemente preparati dalla chef Romana Cipriani, con vecchie e nuove creazioni non attualmente presenti nel menù, ma che si potranno comunque trovare sempre a rotazione in carta, essendo quelle che rappresentano di più la storia del locale.
In particolare la cena ha previsto un amuse bouche molto gustoso costituito da un gazpacho leggero con pinzimonio di verdurine crude e come antipasto delle golose polpettine di melanzane (su coulis di pomodoro) e di bollito (su un'ottima salsa barbecue).



Il primo proposto era rappresentato da dei buoni ravioli di Castelmagno ed asparagina, con asparagi e polvere di speck, mentre come secondo piatto abbiamo assaggiato un filetto di maiale semibrado alla senape con scalogno brasato.



Per chiudere, un ottimo millefoglie con crema al lime e frutti di bosco, a mio avviso uno dei piatti più buoni della serata.


Da segnalare anche lo squisito pane fatto in casa in particolare dei morbidi paninetti a forma di cornettini.
Ha condotto la sala Marta Cipriani con la collaborazione di Silvia Magri, che con professionalità e discrezione nel servizio hanno contribuito a rendere ancor più piacevole la serata.
Perfetti poi gli abbinamenti dei piatti con i vini naturali presenti in carta, distribuiti a Roma da Tiziana Gallo. Come ad esempio quelli del Nebbiolo Colline Novaresi Doc “Flores” 2014 (Cantine del Castello Conti, NO) con il secondo piatto di carne e del Moscato D’Asti “Filari Corti” (Carussin, AT) con il dolce.


Segnalo infine, a proposito di vini naturali, che da poco tempo è nata una nuova enoteca (“Vignaioli Naturali a Roma”, Via del Casale Strozzi 19, zona Piazzale Clodio) non lontana dal ristorante di cui si parla, proprio di Tiziana Gallo, che è anche l'organizzatrice della manifestazione che porta lo stesso nome del negozio e che si svolge ogni anno nel mese di febbraio.
Tanti auguri allora a “Il Doppio, Mangiare e Bere” per un futuro pieno di successi che merita e tanti complimenti per l’ottima riuscita della cena agli organizzatori della serata Daniela Delogu di SenzaPanna e Fabrizio Vicari (con Eugenio Simoni) di Gustovino.

Il DOPPIO, MANGIARE E BERE
Via Rodi, 16 - Roma
Tel. 06.39.74.33.93
Chiuso sabato a pranzo e domenica

13 maggio 2016

Monte dei Cocci & Ketumbar, cultura e buon cibo in pochi metri


Ho sempre amato gli eventi che uniscono gli aspetti culturali con quelli enogastronomici, potendo in tal modo arricchire le mie conoscenze e al tempo stesso mangiare e bere bene.
Uno di questi è stato quello a cui ho partecipato qualche giorno fa, che prevedeva una visita al Monte dei Cocci nel quartiere di Testaccio a Roma, combinata con un brunch biologico nel limitrofo locale Ketumbar.
Devo dire che, pur abitando a Roma da tanto tempo, non avevo mai visitato il Monte dei Cocci ed ho trovato particolarmente interessante la passeggiata che abbiamo fatto, “scalando” la piccola ascesa con una brava guida che ci ha illustrato la sua storia.


Il Monte dei Cocci (alto circa 54 metri sul livello del mare) accoglieva tutte le panciute anfore non più utilizzabili, in cui ai tempi dei romani veniva trasportato principalmente l’olio proveniente dall’Andalusia e dal Nord Africa. Questo monte si situava in una zona commerciale, vicina al porto fluviale, a partire dalla quale le merci (olio, vino, grano) venivano poi smistate nelle varie zone della città.
Le anfore di terracotta contenenti gli oli, non essendo smaltate all’interno, non potevano più essere utilizzate e quindi venivano accatastate in una zona dedicata, che divenne presto un monte artificiale, formato proprio dai loro cocci (si calcola che nel tempo le anfore depositate siano ammontate a oltre 53 milioni!).



Dopo aver acquisito interessanti notizie sulle sorti di questo monte successive al periodo romano, abbiamo avuto modo di ammirare dall’alto un panorama inedito di Roma o perlomeno di una parte di essa. Suggestiva, in particolare, la vista sulla Piramide Cestia e su tutta la zona di Testaccio e dell’Aventino.


Finita l’interessante visita, è stata la volta della degustazione di un ottimo brunch bio al vicinissimo Ketumbar che conserva al suo interno (in un’ideale continuità con quanto avevamo visto prima) dei resti del Monte di Cocci, trovandosi proprio ai suoi piedi.


Il brunch, a differenza di altri brunch della capitale, è molto curato, con utilizzo di prodotti di qualità, combinazioni di materie prime sfiziose ed equilibrate e con un giusto e saggio uso delle spezie, mai eccessivamente prevalenti.


Nell’ambito dei piatti offerti, meritano una citazione gli arancini vegetariani, la crema di borlotti, latte di cocco, menta e basilico, i buonissimi soufflé di verdure e i rigatoni freddi col pesto. E ancora lo sformato di alici e finocchi o il pollo con mele, curcuma e uvetta.
Menzione speciale poi per i dolci, preparati da Alessia Arduini, formatasi alla “scuola” di Pietro Leeman.


Dei dessert con un ottimo equilibrio di sapori, come la buonissima crostata di farro, senza uova, con ricotta di capra addolcita da caramello "integrale" salato o il remake di cheese cake, con yogurt e ricotta e con salsa ai lamponi. 



Buoni anche i brownie, gluten free, di frutta secca salata e dolce e il crumble di farro con pere, rum e cioccolato, davvero da leccarsi i baffi. Viva i brunch di qualità!

1 maggio 2016

LSDM, 2016 Edition


Anche quest’anno sono stato al magnifico evento denominato “Le Strade della Mozzarella svoltosi nella bella Paestum. Anche quest’anno per un solo giorno. Che tuttavia è stato sufficiente a riempire i miei occhi e soprattutto il mio palato di tante sensazioni buone e belle, arricchendo il mio bagaglio culturale culinario di tanti interessanti spunti e idee, da applicare poi nella mia cucina.
Come al solito, il Congresso è stato di altissimo livello, con tanti rinomati chef italiani e stranieri che hanno dato, se possibile, ancor più valore aggiunto all’edizione di quest’anno rispetto a quella a cui avevo assistito l’anno scorso.
Cominciamo col commentare le presentazioni dei vari relatori. Tra quelle che ho seguito e di cui ho potuto assaggiare i piatti, mi è piaciuta la proposta molto semplice che ha presentato in apertura della seconda giornata Alexandre Gauthier, del ristorante La Grenoullière sulle coste della Manica. Dei rotolini di mozzarella di bufala serviti con un olio extravergine davvero buono, basilico e delle lamelle sottilissime di cetriolo che con questo prodotto bufalino si sposa perfettamente. D’altronde, come afferma Gauthier, la mozzarella va servita in modo semplice, perché "la mozzarella se suffit à elle-même" (la mozzarella “si basta” da sola).


Uno dei piatti che ho più gradito della giornata è stato poi quello proposto da Andrea Berton, un risotto cotto col siero della mozzarella, mantecato con crema di mozzarella e condito con polveri di prodotti mediterranei come i capperi, il pomodoro, l’origano, il porro.


In fondo al risotto, inoltre, figurava una “sorpresa” costituita da gustose olive nere. Davvero un gran piatto, che spero presto di poter replicare anche a casa.


Tra gli altri interventi non si poteva non assistere alla preparazione di un estroso e bilanciato piatto a base di scorfano e mozzarella di Ana Ros (ideato il giorno prima, dopo una passeggiata sulla spiaggia di Paestum) e allo show di Ernesto Iaccarino che ha presentato tre piatti uno più buono dell’altro, tutti a base di pasta. 



Ottimo, in particolare, lo spaghetto con sgombro e alalunga, pane, pinoli e prezzemolo tritati, ma anche lo gnocco alla parigina, con cuore liquido di mozzarella affumicata. In pratica uno gnocco di patate cotto a vapore, con un sentore appena accennato dell’affumicatura della mozzarella di bufala, adatto anche ai celiaci.



Sempre grandissimo anche Franco Pepe che, oltre ad offrire una pizza digeribile e buonissima dal punto di vista dell’impasto, ha proposto anche un abbinamento ideale con la bufala, come quello che la associava a una strepitosa crema di carciofi arrostiti.


Ha chiuso il congresso, infine, il sempre geniale Scabin, che ha presentato un menù a base di mozzarella molto intrigante e stimolante.


Oltre alle interessanti presentazioni di cui sopra, alle Strade della Mozzarella c’era molto altro ancora. Voglio in particolare soffermarmi su quello che è accaduto in un’area del Congresso che ho apprezzato molto più dello scorso anno, che è quella situata sul terrazzo dello splendido Hotel Savoy. Le Taste Club Lounge dedicate ai fritti, alla pasta e pomodoro e ai dolci hanno riscosso un enorme successo, anche perché da quelle cucine sono usciti fuori autentici capolavori di bontà e di bellezza visiva e cromatica.
Tra i fritti meritano una menzione d’onore a mio avviso le graffe (ciambelle) fritte di Francesco Guida dell’Osteria Nonna Rosa di Vico Equense, di una sofficità e bontà mai viste.


E sempre tra i fritti ho molto apprezzato lo sfiziosissimo panettone in carrozza, guarnito con crema di pomodori canditi e basilico. Un contrasto dolce-salato veramente niente male, proposto da Alfonso Pepe della Pasticceria Pepe a Sant’Egidio del Monte Albino.


Anche la Lounge Pasta e Pomodoro ha proposto capolavori al tempo stesso semplici e ricercati, ciò che fa riflettere sul fatto che un primo di pasta col pomodoro ben fatto e preparato con materie prime di eccellenza, può davvero essere preferibile di gran lunga ad altri piatti più complessi. Magari cuocendo gli spaghetti nell’acqua di pomodoro, magari utilizzando a corredo dell’ottima ricotta di bufala e dei germogli di basilico…


Il tutto, ovviamente, deve essere supportato anche da una grande pasta, come lo era quella del Pastificio dei Campi, uno degli sponsor della manifestazione.
Anche la lounge sui dolci ha offerto grandi proposte, tra cui devo menzionare quella di Antonino Maresca, che ha usato nella sua preparazione oltre alla bufala anche il caffè Kimbo in un dessert di grande gusto.


Nella bella terrazza del Savoy erano presenti anche tanti produttori di materie prime di qualità. Non posso non nominare ad esempio Giovanni Schiuma un produttore di un grande pane, quello di Matera, che si conserva benissimo anche per tanto tempo, gli ottimi oli delle aziende Dievole e Frantoio Muraglia, i prodotti a base di latte di bufala del caseificio La Tramontina e Barlotti.
Il Congresso delle Strade della Mozzarella si è concluso degnamente con una buonissima cena dedicata a un formato di pasta oggi meno diffuso, che è quello dei mezzanelli. Un mezzanello party era quindi giustamente d’obbligo e le interpretazioni e le varietà di piatti offerti sotto questo tema sono state davvero tante e buonissime.


A regola d’arte erano in particolare i mezzanelli alla genovese (piatto che adoro!) e molto buoni anche quelli con broccoli, cotti nell’acqua delle vongole con gamberi crudi.


Interessantissima anche una versione in cui la parte croccante del piatto era data dai residui dei mezzanelli spezzati, che sono stati prima cotti e poi fritti.


Le mie Strade della Mozzarella si sono infine concluse con una visita al caseificio Barlotti. Colazione con yogurt di bufala e latte di bufala e (prima di un saluto ai pacifici animali) puntatina al punto vendita, con provviste a base di formaggi e ricotte di bufala.
Tornando a Roma, ho pensato e ripensato a tutte le belle emozioni che ho vissuto a Paestum e non posso che ringraziare molto chi ha reso possibile tutto questo, in quasi dieci edizioni di questo Congresso: Bruna e Albert Sapere e Barbara Guerra.
E ora la prossima tappa delle Strade della Mozzarella sarà a Roma, in ottobre: già non vedo l’ora di parteciparvi e aspetto con impazienza nella città dove vivo tutti gli illustri protagonisti (e non solo) che ho citato in questo post.